Cerca

Lasciamoli giocare

Condividi

Simone Perina

Simone Perina

Educatore, Presidente di Hermete

L’esperienza che ho potuto sperimentare sul campo mi ha fatto maturare la consapevolezza  che il gioco, in particolare il gioco destrutturato e libero, debba essere riscoperto e rivalutato come una cosa seria, per il valore che ha in sé.

Sul tema gioco convivono due approcci che mettono in primo piano uno la pratica sociale, l’altro la riflessione sul suo valore. Due approcci contemporanei ma che ci indirizzano verso un differente modo di considerarlo e che ci rivelano, di conseguenza, elementi differenti che convivono nella stessa cultura. Il gioco, nella cultura contemporanea occidentale, riveste un ruolo particolarmente limitato rispetto al suo valore culturale. Se da un lato tutti sono pronti in linea di massima a riconoscere che giocare è importante per un bambino, che sia un suo diritto, dall’altro lato relegano al gioco spazi ristretti e tempi limitati e sporadici.
Il gioco è visto come un’esperienza fondamentale ed esemplare per l’uomo, da privilegiare, praticare e tutelare. Allo stesso tempo, però, la possibilità di vivere questa esperienza viene limitata e snaturata.
Innanzitutto, il tempo messo a disposizione per il gioco durante l’arco di un’intera giornata, è breve e frammentario: “prima il dovere poi il piacere”, recitava un vecchio detto, un “dovere” che oggi, sia per i grandi che per i più piccoli, lascia poco tempo per godersi i piaceri del gioco e del giocare. 
E allora un’alternativa più rassicurante, protetta, controllabile è la casa, dove però lo spazio limita le libertà di gioco e dove l’esperienza, fatto salvo per casi sporadici, non si unisce a quella di un gruppo ma è vissuta a livello individuale. Paola Tonelli dice che la vita dei bambini di oggi passa da una scatola all’altra:
scatola casa => scatola auto => scatola aula => scatola auto => scatola casa => scatola camera => scatola tv.

I cuccioli giocano di più degli adulti perchè  hanno più cose da imparare

Il gioco non è diffuso tra gli animali quanto l’esplorazione, ma esiste fra tutti i mammiferi e anche in alcune specie di uccelli. Da una prospettiva biologica ed evoluzionistica, questo è il modo in cui la natura si assicura che i cuccioli di mammifero, compresi quelli d’uomo, esercitino e sviluppino le capacità necessarie a sopravvivere e stare bene nel loro ambiente.
Questa teoria del pre-esercizio del gioco fu proposta e articolata per la prima volta oltre un secolo fa dal naturalista tedesco Karl Groos, che fornì prove al riguardo in due libri: Die Spiele der Tiere e Die Spiele del Menschen (Il gioco tra gli animali – 1986 e Il gioco tra gli umani – 1899).
Gross era in anticipo sui tempi: fatto suoi gli scritti di Darwin, si rendeva conto che gli animali, soprattutto i mammiferi, devono imparare ad usare i propri istinti. Per essere efficaci  i cuccioli devono affinare certi comportamenti biologici e certi istinti innati.
Per Gross il gioco è l’istinto per esercitare altri istinti:

Non si può dire che gli animali giochino perché sono giovani e allegri, ma piuttosto che vivono in un periodo di giovinezza allo scopo di giocare; solo così facendo possono integrare un patrimonio ereditario insufficiente con l’esperienza individuale, in vista dei compiti di cui la vita li caricherà.

Fondamentalmente Gross ci dice che i cuccioli giocano più degli adulti perché hanno più cose da imparare e ci spiega perché i mammiferi giocano più di altre specie animali. Insetti, rettili, anfibi e pesci non devono apprendere un granché per sopravvivere, considerato il loro stile di vita. Non esistono prove che loro giochino. Mentre i mammiferi hanno istinti più flessibili che devono essere esercitati attraverso l’apprendimento garantito dal gioco.

Inoltre Gross ci spiega perché alcuni mammiferi siano più giocosi di altri: gli animali il cui stile di vita dipende meno da istinti rigidi e più sull’apprendimento sono coloro che giocano maggiormente. Tra i mammiferi i primati sono quelli con più cose da imparare; mentre tra i primati, gli esseri umani, gli scimpanzé e i bonobo (scimmie antropomorfe) sono le specie più giocose in assoluto con più cose da imparare.
Anche i mammiferi carnivori (quindi anche cani e gatti) sono di solito molto giocosi in quanto il successo della caccia richiede molto esercizio.

Questa idea di Gross per la quale si gioca per favorire l’apprendimento ci aiuta a capire perché diverse specie di esseri viventi giochino in modo diverso: per esempio i leoncini giocano ad appostarsi per fare gli agguati, mentre gli animali che di solito vengono predati giocano a ricorrersi, le scimmie a dondolarsi.

In Die Spiele der Menchen, Gross estese le sue intuizioni sul gioco tra gli animali all’uomo.
Gli uomini hanno molte più cose da imparare perciò giocano molto di più: i bambini, quando possono giocare come vogliono, spesso giocano ad imitare le abilità che dovranno sviluppare per cavarsela da grandi. Gross evidenzia pure che i piccoli di uomo devono sviluppare abilità diverse anche in base alla cultura in cui crescono. Sostiene dunque che la selezione naturale ha portato i bambini ad avere un forte impulso a osservare le attività svolte dagli adulti e includerle nei loro giochi.

Lo spazio del gioco è creatività

Bondioli nel suo libro Gioco ed educazione definisce il gioco come “lo spazio del possibile”: un luogo interiore dove, attraverso un fare libero e creativo ma non esente da regole, si scardinano categorie polarizzate che guidano di solito la nostra conoscenza. È lo spazio dove il giocare è fantasioso senza essere sregolato, curioso senza essere dispersivo, alla ricerca della soluzione ingegnosa, della novità, dell’esplorazione.

Ma non può essere solo uno spazio interiore: per giocare servono anche spazi fisici e tempi adeguati.
Infatti Russell sosteneva che i ragazzi devono

avere pieno campo d’azione per la loro esuberanza fisica e le proibizioni debbono essere ridotte al minimo, vanno incoraggiati a sviluppare il carattere avventuroso anche tollerando incidenti di poco conto perché sono necessari per acquistare una certa abilità e destrezza.

Il gioco libero è auto-gratificante e promuove la libertà.
E’ innanzitutto un godimento ludico come afferma Blezza.

La dimensione ludica, che caratterizza l’essenza stessa dell’essere umano è una disposizione, uno stato d’animo, un atteggiamento dello spirito, una postura mentale, un modo di pensare e di agire nel mondo che non è limitato ad un periodo della vita ma coinvolge l’intero arco dell’esistenza (Huizinga, Callois, Dewey). Tale atteggiamento si manifesta non soltanto durante i giochi spontanei e strutturati ma anche in altre situazioni. Secondo Huizinga (1973) la vita culturale e le grandi attività originali della società umana sono intessute di gioco, nel senso che possiedono un’essenza ludica.

Giocare è pertanto vivere al massimo la dimensione ludica:; è provare piacere intenso e un modo per stare nella esperienza e nella quotidianità. Il godimento ludico ti fa dimenticare di tutto, ti rende libero di fantasticare e di creare collegamenti inediti, costruire idee e oggetti originali… promuove la creatività.

Peter Gray, nel suo libro “Lasciateli Giocare” definisce il gioco un concetto contradditorio.

Il gioco è serio, ma non serioso; futile ma profondo; fantasioso e spontaneo, ma legato a regole e ancorato al mondo reale. E’ puerile, ma è il fondamento dei più grandi risultati che si conseguono da adulti. Da una prospettiva evoluzionista, il gioco è il modo in cui la natura si assicura che i cuccioli d’uomo e di altri mammiferi imparino quanto è necessario per sopravvivere e cavarsela bene. Da una prospettiva diversa, il gioco è il dono divino che rende la vita sulla Terra degna di essere vissuta.

Per Gray le caratteristiche peculiari del gioco servono a spiegarne il potere pedagogico e lo fa attraverso 3 punti.

Il primo punto è che le caratteristiche del gioco hanno tutte a che fare con la motivazione e l’atteggiamento mentale (per Blezza è la dimensione ludica), non con la forma manifesta del comportamento in sé. Gray fa l’esempio di due persone che potrebbero far la stessa cosa, una giocando, l’altra no. Per esempio l’atto di digitare delle parole su una tastiera: per una persona può essere un lavoro e per un’altra un gioco. Quale sia la loro dimensione (lavorativa o ludica) lo si capisce dall’espressione e dai dettagli delle loro azioni.

Nel secondo punto Gray dice che il gioco non è per forza tutto o niente.

Il gioco può fondersi con altri motivi o posizioni, in proporzioni che si trovano da qualche parte su una scala da 0% a 100%. Per questa ragione l’aggettivo “giocoso”, che contiene l’idea di possibili variazioni di grado, spesso è più utile del sostantivo “gioco”, che tende a essere interpretato appunto come un tutto o niente. In varia misura si può avere un “atteggiamento giocoso” o uno “spirito giocoso” in qualsiasi attività.

Gray chiama questo atteggiamento lo stato mentale giocoso. Il gioco al 100% solitamente è dei bambini mentre negli adulti è presente in quantità inferiore.

Il terzo punto è che non esiste un’unica caratteristica identificativa del gioco, bensì si definisce attraverso diverse caratteristiche. Gray le riassume in cinque, secondo le quali il gioco: 

  • viene scelto e diretto dai giocatori
  • è un’attività in cui i mezzi giustificano il fine
  • ha una struttura o delle regole dettate non dalla necessità fisica ma dalla mente dei giocatori
  • è fantasioso, metaforico, mentalmente scisso dalla vita reale
  • prevede una condizione mentale attiva, vigile, ma non stressata

Altro stimolo interessante arriva dalla psicologa Iben Sandahl e dalla giornalista Jessica Joelle Alexander, autrici del libro Il metodo danese per crescere bambini felici:

Il gioco libero aiuta i bambini ad essere meno ansiosi e insegna loro la resilienza cioè la capacità di affrontare e superare dei momenti di difficoltà. “Ed è dimostrato che la resilienza è uno dei fattori più importanti per pronosticare una vita adulta di successo (…). Oggi sappiamo che la resilienza è importante per prevenire l’ansia e la depressione, ed è una cosa che da anni i danesi instillano nei loro figli. E uno dei modi in cui lo fanno è dando una grande importanza al gioco.”

In Danimarca per molti anni ai bambini non era consentito andare a scuola prima dei 7 anni. La scuola non doveva essere troppo impegnativa in quanto doveva dare loro lo spazio per giocare. Per molti studiosi danesi i bambini hanno bisogno dei loro spazi e di fiducia per arrivare a padroneggiare le cose in autonomia e per fare in modo di risolvere i problemi da soli. Questo è possibile grazie ad una buona autostima e ad una resilienza personale che viene allenata grazie al gioco. Come detto la resilienza deriva dalla forza interna dell’individuo e non da altri.

Le scrittrici recuperano nel loro libro il concetto di Vygotskij. Lo psicologo russo è famoso per aver elaborato il concetto di zona di sviluppo prossimale. Questa zona riguarda l’area di sviluppo potenziale: secondo Vygotskij, all’interno di quella zona il bambino può apprendere ed essere in grado di collaborare.

In psicologia, questo sostegno interno, o motivazione, è conosciuto come “luogo di controllo” (locus of control). Il termine locus in latino significa “luogo” o “posto”, e il luogo di controllo indica semplicemente il grado in cui una persona sente di avere un certo controllo sulla sua vita e sugli eventi che la riguardano. Quindi le persone che hanno un controllo interno credono di avere il potere di controllare la loro vita e le cose che vi accadono. La loro motivazione è interna, personale; il loro luogo di controllo viene da dentro. Le persone che hanno un luogo di controllo esterno credono che la loro vita sia controllata da fattori esterni come l’ambiente o il fato, sui quali esse hanno poca influenza. Quel che le guida viene dal di fuori e non possono cambiarlo. Tutti subiamo l’influenza di ciò che ci circonda, della cultura e dello status sociale, ma quanto controllo sentiamo di avere o meno sulla nostra vita, indipendentemente da questi fattori, è quel che fa la differenza tra avere un luogo di controllo interno o esterno.

Molti studi hanno dimostrato che i bambini, gli adolescenti e gli adulti che hanno un forte luogo di controllo esterno sono predisposti all’ansia e alla depressione e diventano ansiosi perché credono di controllare poco, o di non controllare affatto, il loro destino, e si deprimono quando questo senso di impotenza diventa troppo grande.

In una ricerca la psicologa Jean M. Twenge dimostra attraverso un test chiamato Scala Nowicki-Strikland, come negli ultimi cinquant’anni ci sia stato un sensibile spostamento da un luogo di controllo interno ad uno esterno in bambini di tutte le età, dalle elementari alle superiori. Nel 1960 coloro che dichiaravano di aver il controllo sulla propria vita erano superiori dell’80% rispetto a coloro intervistati nel 2002. Di questi, la maggior parte sono bambini delle elementari. Questo significa che provano quel senso di impotenza sempre più in giovane età. L’aumento del luogo di controllo esterno coincide direttamente con l’aumento della depressione e dell’ansia della nostra società.

Le autrici de Il metodo danese per crescere bambini felici si chiedono quale sia la causa di questo spostamento di fronte.

Centrale, per la filosofia della genitorialità danese, è il concetto di “zona di sviluppo prossimale”, introdotto per la prima volta da Lev Vygotskij, psicologo dello sviluppo russo. Esso afferma fondamentalmente che il bambino o la bambina hanno bisogno dei loro spazi per imparare e crescere negli ambiti più adatti a loro, ricevendo il giusto aiuto. Immaginate di aiutare un bambino a scavalcare un tronco caduto in un bosco. Se all’inizio ha bisogno di una mano per scavalcare, gli darete la mano, poi però forse solo un dito per aiutarlo, e quando sarà il momento, lo lascerete fare da solo. Non lo prenderete in braccio né lo spingerete. In Danimarca i genitori cercano di non intervenire a meno che non sia assolutamente necessario. Confidano nel fatto che i loro figli siano in grado di fare e sperimentare cose nuove e lasciano loro gli spazi di cui hanno bisogno per costruire la propria fiducia in sé stessi. Forniscono loro le impalcature necessarie allo sviluppo e li aiutano a costruirsi la propria autostima, che è molto importante per “il bambino nella sua interezza”. Se i bambini si sentono sotto pressione, possono perdere l’entusiasmo in quello che stanno facendo, e ciò può causare paura e ansia. Invece i genitori danesi cercano di accompagnare i bambini nelle attività in cui si sentono sicuri e vogliono sperimentare una nuova capacità, e poi li spronano e li invitano ad andare oltre o a provare qualcosa di nuovo, mentre sono ancora eccitati e curiosi. Lasciando loro gli spazi di cui hanno bisogno e rispettando la zona di sviluppo prossimale, viene permesso ai bambini di sviluppare sia la capacità che la fiducia nel loro luogo di controllo interno. In questo modo sentono di essere responsabili delle loro sfide e dei loro progressi. I bambini che vengono spinti o trattenuti troppo rischiano di sviluppare un luogo di controllo esterno perché non dominano i loro progressi; lo fanno, invece, dei fattori esterni, e le fondamenta dell’autostima cominciano a vacillare. Solo per l’apprendimento in sé, che di sicuro sarà più piacevole, ma perché saranno più sicuri delle loro abilità, dal momento che si sentiranno più responsabili nell’acquisirle.

Andreas Weber, filosofo e biologo, scrittore e divulgatore tedesco che ha scritto sulla poetica della natura, sull’economia ecologica e sul benessere dell’uomo, a proposito di spazi scriveva:

Il fatto che per i bambini non sia quasi più possibile girare liberamente all’aperto è da considerare al pari di una catastrofe della civiltà.

Per Weber il raggio di azione della generazione contemporanea dei bambini si sta spostando sempre di più all’interno di edifici. Negli ultimi quattro decenni il territorio in cui si possono muovere liberamente si è ridotto in modo rilevante. 

Sempre Weber sottolinea checon la scomparsa del gioco libero all’aperto c’è il rischio che vada perduto qualcosa d’insostituibile e cioè la possibilità di manifestare i propri potenziali mentali fisici e spirituali, utili a diventare persone mature e coscienti.

Ritornando alle autrici J.Alexander e I.Sandahl, loro continuano l’analisi e si chiedono come possa venire in aiuto il gioco. Come Gray, anche loro fanno riferimento agli studi sul gioco tra gli animali e alla sua importanza sulla funzione evolutiva.
Fanno riferimento alla ricerca di alcuni scienziati sulla condotta di ratti e macachi nel momento in cui vengono privati di compagni di gioco durante il periodo dello sviluppo. Tale ricerca dimostra che da adulti gli animali oggetto di studio sono maggiormente stressati e reagiscono in modo sproporzionato in situazioni critiche e sono incapaci di socializzare correttamente, reagiscono con paura o con aggressività esagerata. La causa è certamente la mancanza di gioco – affermano le autrici – perché quando agli animali viene permesso di giocare con un compagno anche solo per un’ora al giorno, si sviluppano in modo più normale e reagiscono meglio da adulti.
Attraverso il gioco la capacità di gestire lo stress aumenta in quanto s’impara ad affrontare situazioni sempre più complesse. Non si coltiva la resilienza evitando lo stress ma imparando a controllarlo e padroneggiarlo.

Le autrici pongono ai lettori la seguente domanda: Stiamo togliendo ai nostri figli la capacità di controllare lo stress non permettendo loro di giocare a sufficienza?

Guardando il numero dei casi di disturbi dell’ansia e delle diagnosi di depressione nella nostra società, viene da chiedersi se ci sia qualcosa che non va. Dal momento che una delle paure più forti di chi ha un disturbo dell’ansia è perdere il controllo delle proprie emozioni, non possiamo fare a meno di domandarci: se facciamo un passo indietro e lasciamo che i nostri figli giochino di più, saranno degli adulti più resilienti e più felici? Pensiamo che la risposta sia sì.

Anche Peter Gray fa riferimento ad alcune ricerche sull’ansia e sui disturbi di apprendimento.

Alcuni bambini sono per natura più attivi e impulsivi di altri, e questo a scuola è un problema. Per loro è ancora più dura che per il bambino medio stare seduti immobili per ore e ore ogni giorno, svolgere esercizi e compiti che non gli interessano, supportare la noia. Con le forti pressioni della scuola contemporanea, questi bambini vengono etichettati come affetti da un disturbo mentale, l’Adhd. Secondo i dati più autorevoli nel momento in cui scrivo, circa al 12 per cento dei maschi e al 4 per cento delle femmine (negli Stati Uniti) in età scolare è stata diagnosticata questa sindrome. Nella stragrande maggioranza dei casi, tale diagnosi viene formulata in seguito alle lamentele degli insegnanti. Pensateci! Il 12 per cento dei maschi – uno su otto – è stato etichettato come mentalmente disturbato a causa dell’incapacità o della riluttanza a svolgere per lunghi periodi compiti scolastici che trova tediosi. E questo è di per se grave. Oggigiorno sentiamo addirittura, e sempre più spesso, che si diagnostica l’Adhd a bambini di tre o quattro anni, che devono prendere dei farmaci perché non possono o non vogliono stare fermi e buoni all’asilo!

Con questa accusa Gray ci fa riflettere sul fatto che anche la scuola dovrebbe recuperare lo stato mentale giocoso per cercare di instillare negli allievi un senso di libertà e giocosità e per ridurre l’ansia e la vergogna del fallimento.

La correlazione tra la vivacità nel gioco e le loro strategie di affrontare le difficoltà ambientali (coping) sono state dimostrate da alcuni ricercatori in uno studio in Massachusset. E’ stato scoperto che esiste una diretta correlazione tra il livello di vivacità nel gioco dei bambini e la loro capacità di affrontare lo stress. I ricercatori hanno osservato che più giocavano, quindi imparavano a socializzare, maggiormente erano in grado di affrontare situazioni di stress desumendo che il gioco agisce su tutte le capacità di adattabilità. Altro studio simile è stato fatto su ragazzi adolescenti, sia con difficoltà emotive che con uno sviluppo normale, e il risultato è stato uguale ai bambini in età scolare.

La conclusione è che:

il gioco può essere usato per migliorare le strategie
per la gestione dei problemi e le capacità di adattamento.

Effettivamente al parco giochi se osserviamo giocare dei bambini che si arrampicano su alberi e salgono lo scivolo al contrario stanno sperimentando situazioni di pericolo e stress che solo loro sanno valutare e superare. Ciò che conta – affermano J.Alexander e I.Sandahl – è che i bambini siano consapevoli di poter controllare la quantità di stress che riusciranno a sopportare. Così si sentiranno in grado di controllare meglio la loro vita. (…) Imparano cosa sia la paura e come gestirla. (…). Per i bambini, anche le situazioni sociali sono stressanti. Il gioco sociale può portare sia al conflitto che alla cooperazione. La paura e la rabbia sono solo alcune delle emozioni che un bambino deve imparare a gestire per continuare a giocare.

E’ evidente l’importanza e la potenza dello strumento gioco che al giorno d’oggi viene sottovalutato e messo in secondo piano rispetto a tutti gli altri impegni dei bambini.

Rimani aggiornato!

Iscriviti alla nostra newsletter

Contatti

Sede

Hermete Cooperativa Sociale 

C. F./P. IVA 03192670234 

Codice di fatturazione elettronica: T04ZHR3

Lavora con noi

Ⓒ 2021 - All Rights Are Reserved