
Matteo Sposito
Educatore
“Meglio mandarlo a zappare”, chi non ha mai sentito dirlo di uno studente che fa fatica o sembra non interessato alla scuola? Beh, intanto, noi lo mandiamo a martellare (qualche volta anche a zappare, in effetti, e dovreste vedere quanto sono contenti gli studenti con in mano rastrelli e badili!). Si, a martellare…segare, piallare, avvitare, carteggiare, ma la cosa bella è che li mandiamo al mattino, durante le lezioni…
Partiamo con ordine, il progetto è quello di OFFICINA, all’inizio lo chiamavamo Ludofficina, perché realizzavamo giochi, poi le cose sono un po’ cambiate ed ora costruiamo arredo scolastico, mobili, attrezzature per imparare la fisica o la matematica e tanto altro, oltre a riparare panche, scaffali e quant’altro ci viene richiesto. Una piccola squadra di giovani studenti, in genere delle medie, che una volta alla settimana dedicano una parte della mattinata scolastica a questo tipo di attività.
Ma chi sono questi studenti? All’inizio eran quelli che in classe proprio non riuscivano a stare, pieni di energia, poco attenti a quel che accade sulla lavagna ma che non perdono un dettaglio di tutto quel che succede attorno a loro (e così si distraggono), e che preferirebbero la pratica alla teoria; poi, ancora, l’ambito si è allargato, e si sono aggiunti ragazzi che magari restano un po’ defilati, con poche relazioni o che litigano di continuo, qualcuno che i professori vedono in difficoltà sulla scelta scolastica…
Si, perché c’è questo da aggiungere, i ragazzi vengono scelti dai professori, spesso in accordo coi servizi socio-educativi dei Comuni, perché sono i professori a vederli quotidianamente, a conoscerli nel tempo e valutarne fatiche e talenti.
L’ OFFICINA a a scuola diventa allora una grande opportunità per tutti: per gli studenti che partecipano, che hanno l’occasione di fare qualcosa che li coinvolge e stimola magari di più dello studio; per i compagni, che hanno l’occasione di vederli all’opera in modo diverso, ammirandone i prodotti e, talvolta e paradossalmente, il miglioramento anche a lezione; per i professori, che hanno l’occasione di vedere approcci nuovi, confrontarsi e creare rete oltre al mondo della scuola; per i servizi, che hanno l’occasione di vedere questi ragazzi in un contesto diverso e collegarsi con la scuola in modo sempre più significativo.
Dentro a queste attività, senza quasi accorgersene, i ragazzi mettono in campo anche tante competenze legate all’area STEM: si calcolano misure, si ragiona su angoli e proporzioni, si comprendono forze e resistenze dei materiali, si sperimentano procedimenti e si analizzano gli errori. Nessuna lezione frontale, ma un modo diverso – più fisico, più immediato – per familiarizzare con concetti di matematica, geometria, fisica e tecnologia. Costruendo una libreria, ad esempio, si impara cosa vuol dire stabilità, si disegna un progetto, si misura, si confrontano idee. La scienza non è astratta: si tocca, si vede, si corregge. Le competenze STEM emergono così in modo naturale, intrecciandosi al fare concreto e rendendo visibile – e comprensibile – ciò che spesso resta lontano dai banchi. E così, anche chi ha sempre fatto fatica in aula può iniziare a vedere il senso di ciò che studia e a scoprire di saperlo usare con efficacia.










Un successo su tutti i fronti quindi? Beh, non in modo così automatico, purtroppo. Perché il cambiamento è spesso un processo difficile, a partire dalle istituzioni stesse: non tutte le scuole, pur accentando la proposta, sono poi disposte a mettersi davvero in gioco, e talvolta sono i singoli docenti a tirarsi indietro, rimanendo passivi, scomparendo o, addirittura, mettendosi di traverso. Ed anche per i ragazzi è difficile cambiare: la falegnameria è un impegno, e se inizialmente c’è l’entusiasmo di fare cose nuove, sfidanti e “da grandi”, poi la luna di miele finisce, e arriva anche la fatica di essere trattati “da grandi”: alcuni lavori sono più noiosi, da fare con cura e precisione, e quanto impegno portare a termine quello che si è iniziato, magari dovendo ricominciare da capo più volte per via di un imprevisto, di un errore… e che fatica anche stare in gruppo, per quanto piccolo, con tante diversità, collaborare con qualcuno che non ci piace, dover ascoltare ed ascoltarsi, magari anche esporre per fare delle proposte… ma così, piano piano, in queste stanze che sanno di gesso e segatura, si impara la pazienza, l’abilità di sopportare le frustrazioni, ci si scopre capaci, ricchi di talenti inaspettati, si creano relazioni, e si inizia forse a pensarsi diversi, non più, o no solo, “distratti e svogliati”, ma più sfaccettati, più ricchi di colori.
Quando questa sinergia funziona si possono davvero vedere cambiamenti rilevanti: talvolta, come un domino, il cambiamento arriva anche in classe, le relazioni migliorano, l’impegno e l’attenzione crescono, si percepisce un atteggiamento più maturo e le nuove consapevolezze permettono scelte più accurate per il futuro. Talvolta invece i cambiamenti sono segreti, custoditi nelle aule della falegnameria. A volte possono sembrare poca cosa, ma ognuno vive le proprie sfide e le proprie fatiche, ed ognuno ha un proprio tempo per maturare, così forse anche delle piccole conquiste troveranno il momento giusto per germogliare, piccoli miracoli, che pochi hanno il privilegio di vedere direttamente: non restare in attesa passiva ma proporsi, cercare soluzioni per un imprevisto che ha rovinato il lavoro, mostrare di aver ascoltato ed osservato riproponendo strategie più efficaci, prendere parte alla conversazione, guardare con soddisfazione il proprio lavoro, riordinare, salutare col sorriso dalla finestra all’arrivo del furgone carico di assi, chiodi e viti.