Michela Cona
Psicologa, Coordinatrice
e Responsabile di Area di Hermete
Giulia Lonardi
Sociologa, Coordinatrice
e Responsabile di Area di Hermete
La mancanza di esperienza genera povertà educativa
La sfida più importante che si pone alla Comunità educante in questo momento storico è sicuramente quella di offrire opportunità di crescita per i bambini e le bambine e di contribuire alla costruzione della loro autonomia che li accompagni ad avere una propria voce in capitolo rispetto alle criticità socio-economiche e climatiche e il coraggio di ideare insieme modi nuovi per affrontare le sfide del futuro, a livello locale ma non solo.
La scommessa che vogliamo vincere insieme è quella di nutrire le relazioni e il flusso di comunicazione e costruttivo confronto fra gli attori della Comunità educante, siano essi insegnanti, famiglie, operatori sociali e altri adulti di riferimento, per rinsaldare i legami e co-costruire una comunità educante in reale e costante contatto e crescita.
La situazione post covid ci ha portato a galla una situazione che da tempo è stata sempre sottovalutata.
La Covid19 Generation, una parola nuova per dire di una nuova situazione dell’infanzia e dell’adolescenza e di nuove preoccupazioni legate sia all’istruzione in senso formale, con l’innalzamento del rischio di perdita di motivazione e quindi abbandono della carriera scolastica, sia intesa come apprendimento continuo, ovvero opportunità di crescere e diventare capaci di avere una propria voce e un proprio posto nella società, di oggi e di domani. “Il tema è strettamente legato a quello dell’emergenza educativa che la pandemia ha ulteriormente aggravato, ampliando le diseguaglianze legate allo status socio-economico, all’area geografica di residenza e al digital divide.” http://www.vita.it/it/article/2021/01/25/emergenza-educativa-per-la-covid-19-generation/158093
Preoccupazioni nuove ma legate strettamente ad una situazione già esistente in cui era evidente la contraddizione tra una società che vuole giovani performanti e responsabili e l’imposizione di un sistema educativo iper-protettivo che non mira alla creazione di autonomie con l’effetto di soffocare le spinte di protagonismo attivo da parte dei bambini. Tale cortocircuito fra quanto la società chiede all’infanzia e quanto offre come occasioni di sviluppo della propria autonomia e di sperimentazione di sè è nettamente riscontrabile nella circolare emanata a ottobre 2017 dal MIUR nella quale veniva imposto il divieto di uscita da scuola non accompagnati anche ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Come afferma il pedagogista Daniele Novara questa “circolare è un’idea balzana dettata dalla paura, dalla mancanza di responsabilità pedagogica e dalla burocratizzazione della scuola. (..) Così precludiamo ai ragazzi ogni percorso di crescita. Li vogliamo chiudere in casa? Non è protezione, ma solo paura” (intervista, 10/10/2017).
In questa rincorsa all’iper-protezione dell’infanzia, con rigide regolamentazioni della ricreazione e di altri momenti in sé aperti a varie possibilità di mettersi in gioco (ad es. sono sparite le passeggiate nelle zone limitrofe alle scuole per timore delle strade trafficate) il sistema scolastico sta di fatto privando i bambini e le bambine di importanti “banchi di prova” delle proprie capacità e dei propri limiti, dell’importante allenamento della facoltà di comprendere i propri errori per fare meglio e di più e, non ultimo, di una socializzazione spontanea in cui sia possibile apprendere a stare con gli altri, a confrontarsi, convinti che “litigare fa bene”.
(Novara, 2013)
I bambini hanno bisogno di giocare liberamente per imparare a fare amicizia, superare le paure, risolvere problemi in modo autonomo.
(Gray 2015)
Ovviamente la scuola non è sola in questo immane sforzo di evitare qualsiasi pericolo per i bambini, fosse anche il semplice ginocchio sbucciato correndo in cortile. Anche gli spazi di gioco libero sono sempre meno e quelli che esistono sono sempre più vuoti.
“Parallelamente alla scomparsa e all’eliminazione dei bambini dalla scena sociale, sembra crescere il desiderio, quasi la visione forzata, di proteggerli”.
(Weber, 2010)
A restringere gli spazi di gioco sono in questo caso soprattutto due fattori: la mancanza di tempo dei bambini e le preoccupazioni dei genitori. Gli adulti temono di lasciare i bambini e le bambine in uno spazio libero, soprattutto perchè potrebbero farsi del male, e in un tempo libero, perché la società performante in cui viviamo sembra richiedere che ogni occasione di apprendere saperi codificati “utili per il futuro” sia sfruttata. I bambini vengono sottoposti ad un elenco di priorità finalizzate alla buona performance: in tal modo il gioco libero al parco viene sostituito dal corso di inglese.
I genitori, la scuola ma anche gli enti locali che gestiscono gli spazi pubblici non considerano che il gioco libero sviluppa l’autonomia dei bambini e dunque la maturazione di una personalità indipendente.
Come è facile intuire le disposizioni attuate per evitare il contagio Covid-19 sono andate a ingigantire questa paura e questa iper-protezione, con ricadute di depauperamento educativo anche molto gravi, che vanno a incidere soprattutto sulle fasce già svantaggiate della società. “In sintesi, siamo di fronte al rischio concreto di un forte aumento della povertà educativa, già troppo diffusa oggi nel nostro Paese. Oltre alla perdita di apprendimento, il mancato accesso alla didattica e alle attività educative, motorie e ricreative per bambini e adolescenti che vivono nei contesti più svantaggiati si può tradurre nella perdita di motivazione e in un isolamento che facilmente può portare all’aumento della dispersione scolastica e dei NEET, ovvero dei ragazzi fuori dai circuiti educativi e lavorativi. Occorre ripartire con urgenza dall’investimento sull’infanzia e sull’istruzione. Un Paese che non investe sui bambini è infatti un Paese senza futuro”. (https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/limpatto-del-coronavirus-sulla-poverta-educativa_0.pdf)
Oltre alla mancanza di occasioni e luoghi adatti a sviluppare la propria autonomia, dentro la scuola e dentro il territorio, va posto l’accento quindi sulla povertà educativa che l’emergenza sanitaria sta portando a livelli di allerta, intendendo con questo termine “l’esclusione dall’acquisizione di competenze per vivere in un mondo caratterizzato dall’economia della conoscenza, della rapidità e dell’innovazione”.
(La lampada di Aladino, Save the Children Italia).
Povertà educativa vuol dire anche avere poche possibilità di crescita nella consapevolezza e gestione delle proprie emozioni, delle relazioni con gli altri e di conoscenza di se stessi. Essa è influenzata in alcuni casi dalla povertà economica della famiglia dalla quale viene il bambino, che non ha possibilità di creare spazi di sviluppo e pone il minore in una situazione di discriminazione rispetto ai coetanei. La povertà educativa esclude l’opportunità di apprendere per comprendere, ossia di acquisire conoscenze e applicarle nella propria vita e di sviluppare competenze cognitive, imparare per essere, cioè di acquisire quelle abilità necessarie per gestire la propria vita con consapevolezza come affrontare le difficoltà e gestire lo stress, l’apprendere per vivere insieme e apprendere per fare.
( Rapporto Statistico, Il Veneto si racconta, il Veneto si confronta, Regione Veneto, 2018).
Tra le due, povertà educativa ed economica, esiste un circolo vizioso attraverso il quale una tende ad alimentare l’altra.