
Valentina Salzani
Pedagogista ed educatrice
“Che cosa hai fatto oggi” rappresenta la domanda che accoglie maggiormente il rientro dei bambini a casa. “Che cosa hai fatto oggi” che diventa descrizione di una cultura basata sul “fare”, sul susseguirsi di attività. Fare che diventa metro di misura delle offerte educative presenti, “non fare” capace di generare sentimenti di inadeguatezza e di ansia, come a far credere che il nostro bambino o la nostra bambina stiano perdendo tempo. Questa tendenza alla ipergenitorialit๠e dalla iperprogrammazione si manifesta attraverso un’agenda sempre più fitta di impegni e attività extrascolastiche, lasciando poco spazio alla noia creativa e al tempo non strutturato.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un significativo cambiamento al modo in cui i genitori approcciano la crescita dei propri bambini, un cambiamento verso un’ossessione performativa² che influenza fortemente le scelte educative quotidiane.. I genitori, spinti dall’ansia di garantire ai figli un futuro competitivo, rischiano di trasformare l’infanzia in un periodo di “produzione” anziché di crescita naturale. Una tendenza, come definita da Bauman, alla mercificazione del tempo che ora si sta estendendo anche ai più piccoli. Una tendenza, inoltre, che invade spazi e tempi, attraverso un’eccessiva programmazione e un costante controllo da parte del mondo adulto, nel quale i bambini e le bambine non hanno più spazi di autonomia. Inoltre molte strutture educative, dalle scuole dell’infanzia ai centri ricreativi, si sono progressivamente trasformate per assecondare queste richieste. Dove prima c’era spazio per il gioco libero e non strutturato, ora troviamo programmi dettagliati di attività, laboratori tematici e percorsi didattici specifici. Se si osservano i volantini e le pubblicità delle varie offerte o si partecipa alle serate di presentazione molto spesso il focus non viene messo sulle modalità educative e sugli obiettivi che stanno alla base del progetto ma esclusivamente sulle attività.
Ma quali sono gli effetti di questa iperprogrammazione? Innanzitutto la mancanza di tempo libero, destrutturato, nel quale lasciare spazio alla creatività e alla sperimentazione sta privando i bambini e le bambine di esperienze fondamentali per la crescita, con conseguenze che si manifestano su differenti piani.
Sul piano emotivo la mancanza di sperimentazione reale, con la presenza costante di un adulto che funge da filtro, non permette ai bambini di conoscersi, comprendere, filtrare e imparare a gestire le emozioni negative come rabbia e frustrazione. Inoltre l’eccesso di attività strutturate genera livelli significativi di stress nei bambini. La pressione costante di dover passare da un’attività all’altra, rispettando orari e aspettative, può portare a manifestazioni di ansia precoce e sensazioni di inadeguatezza. I bambini e le bambine si trovano spesso a dover gestire un carico di impegni paragonabile a quello di un adulto, senza avere gli strumenti emotivi per farlo.
Sul versante delle relazioni sociali, l’assenza di tempo libero non strutturato limita drasticamente le opportunità di sviluppare competenze sociali spontanee. Nei momenti di gioco libero, i bambini imparano naturalmente a negoziare, a gestire i conflitti, a creare alleanze e a comprendere le dinamiche sociali; “il gioco libero è il modo in cui i bambini imparano ciò che nessuno può insegnare loro”. Quando ogni interazione è mediata da un adulto o strutturata secondo regole prestabilite, queste capacità non hanno modo di svilupparsi adeguatamente.
L’iper organizzazione ha un effetto negativo anche sulle autonomie: i bambini e le bambine faticano ad imparare a gestirsi e a prendere decisioni in modo autonomo, con effetti negativi sulle capacità di gestione del tempo, decisionali e di problem solving. I bambini imparano a stare in un contesto in cui un adulto dice sempre loro cosa fare, organizza il tempo minuto per minuto senza abituarsi alla noia e alla lentezza utili per lo sviluppo della creatività e dell’attesa.
Anche lo sviluppo motorio ne risente: il gioco libero all’aperto, con la sua imprevedibilità e varietà di movimenti, viene sostituito da attività sportive strutturate che, per quanto benefiche, non possono replicare la ricchezza di esperienze motorie e scoperta che il gioco spontaneo offre.
Sul piano cognitivo, l’iperstimolazione costante può paradossalmente portare a una diminuzione della capacità di concentrazione. I bambini abituati a cambiare continuamente attività tendono a sviluppare difficoltà nel mantenere l’attenzione su un singolo compito per periodi prolungati. Manifestano un continuo bisogno di stimoli non abituandosi a “stare” sulle cose e sulle situazioni:
Le istituzioni educative si trovano così in una posizione delicata: da un lato devono rispondere alle esigenze delle famiglie per rimanere competitive nel mercato educativo, dall’altro hanno la responsabilità di preservare spazi di libertà e spontaneità essenziali per un sano sviluppo infantile. La sfida sta nel trovare un equilibrio tra questi due aspetti, proponendo un’offerta formativa che, pur essendo strutturata e ricca di stimoli, non soffochi la naturale propensione dei bambini all’esplorazione e al gioco libero. Inoltre un’offerta che non rappresenti un contenitore prestabilito nel quale inserire i più piccoli ma uno spazio costruito intorno, per e insieme a loro. Uno spazio nel quale la cura abbia un ruolo prioritario e centrale.
La scelta di distinguersi dal modello dominante dell’iperprogrammazione non è un salto nel vuoto, ma una posizione pedagogica precisa e consapevole attraverso la quale si sceglie di mettere al centro il bambino e la bambina in un contesto sociale dove l’efficienza e la prestazione sembrano essere gli unici parametri di valore. Questo significa avere il coraggio di rallentare quando tutti corrono, di creare spazi di libertà quando altri riempiono ogni minuto, di ascoltare invece di dirigere. Non è una scelta facile: richiede di resistere alle pressioni esterne, di spiegare e rispiegare ai genitori il valore del tempo lento, di sopportare lo scetticismo di chi misura la qualità educativa dal numero di attività offerte.
Una scelta non facile ma necessaria, se vogliamo educare bambini capaci di affrontare le sfide del futuro con equilibrio e consapevolezza di sé. Una scelta che va condivisa, narrata e spiegata in un dialogo costante con le famiglie e la comunità, aspirando a cambiare la prospettiva dal “Cosa hai fatto oggi” al “Come ti sei sentito oggi”.
¹Millet Eva, Ipergenitori, Edizioni Terra Santa, 2018
²Lancini Matteo, “L’età tardiva”, Raffaello Cortina Editore, 2019
³ J.S.Bruner, Il pensiero. Strategie e categorie, Armando, 1956